Lunedì 7 luglio
Il Gran cono e il gran caldo
Questa mattina, imbarco e immediato sbarco dall’Adriatica… nel senso che chi aveva dormito in albergo sale a bordo e riceve il benvenuto di Patrizio Roversi che dà la sua benedizione a questa spedizione. Si caricano i bagagli a bordo… Quanti! dove li metteremo? Vedo la faccia scettica di Filippo Mennuni, il capitano di Adriatica… dove li metteremo!!!
Un problema per volta… Ora si deve scendere (all’approdo Borbonico di Ercolano) di nuovo tutti per la spedizione sul Vesuvio: con questo caldo! Ma ce la faremo.
“Ma sei pazza ad andare sul Vesuvio con i sandali?”
“OK, mi metto le scarpe da montagna… ma con questo caldo!”
Prendi macchine fotografiche, attrezzatura per le riprese, cappellini, zainetti ecc. qualcuno dimentica qualcosa, torna indietro, ma con questo caldo! È facile dimenticare qualcosa, sicuramente i neuroni lavorano più lentamente. Alla fine ce la facciamo e siamo a terra, dove ci aspetta un buffissimo pullmino simil-trenino che ci porterà fin su, o quasi.
Con abili acrobazie, l’autista si districa per il traffico e le strade strette di Ercolano, intasate da macchine ferme ovunque, motorini che rischiano la vita, ostacoli di ogni tipo…
Imbocchiamo la strada che porta al Gran Cono, il perché si chiama così lo capiremo tutti tra un po’. Piano piano si sale, costeggiando mucchi di spazzatura in decomposizione che manda un olezzo veramente insostenibile. Poi, con questo caldo! Tutti si chiedono come sia possibile arrivare a ciò, come sia possibile che sia diventato quasi normale vedere questi mucchi e sentire questa puzza. È vero: sembra banale parlare di spazzatura a Napoli, ma è difficile farne a meno!
La strada sale e piano piano il paesaggio cambia. La natura prende il sopravvento, spariscono le costruzioni e i ristoranti per turisti (con il loro carico di puzza e spazzatura proprio davanti) e comincia il bosco… Un bosco fitto fitto e fresco, arieggiato, verdissimo anche ora, in pieno luglio. Poi nel verde si aprono delle macchie di giallo, sempre più ampie. E il fetore della spazzatura viene coperto da un altro odore, ancora più intenso. Ma questo è profumo: il profumo delle ginestre, tutte in fiore. Siamo in un bosco, immenso, di ginestre! Il giallo, luminosissimo, arriva fino alla sponda del Fiume di Pietra, scura lava solidificata che scende fino a valle, ciò che ha lasciato l’ultima eruzione del Vesuvio, avvenuta nel 1944. Il contrasto è incredibile. Una bellezza rara.
Saliamo ancora. Arriviamo al piazzale dove si lasciano i mezzi e ci si incammina a piedi. Non siamo gli unici pazzi a volere intraprendere la salita al Gran Cono con questo caldo! Infatti il piazzale è pieno di pullman e macchine e persone accaldate che si difendono dal caldo e dall’irraggiamento con le strategie più straordinarie… e poi ci sono i chioschetti che vendono acqua, bibite, cibarie varie e gli imperdibili souvenir, vari vesuvi di materiali e fogge diverse (alcuni anche con i brillantini, fucsia, gialli, verde smeraldo!), e per chi vuole qualcosa di esotico non mancano budda in plastica, piramidi, mummie e forse anche una torre Eiffel. Non si sa mai!
Entriamo, i bambini tutti rossi con le loro magliette dei mini vulcanologi. Si vedono bene da lontano. Così come Gianni Macedonio, il grande vulcanologo che ci accompagna.
Man mano che saliamo (con questo caldo!) il paesaggio diventa sempre più bello ma più arido. Il bosco e le ginestre hanno lasciato il posto alla roccia nuda. Rossastra, grigia, giallastra. Dipende dal tipo di composizione chimica: “Se è rossastra… — dice Tonia, una nostra mini vulcanologa che abita da questa parti, proprio a Ercolano e ci accompagna anche lei nel nostro giro fino a che siamo nei dintorni di Napoli, — vuol dire che c’è il ferro… che diventa rossastro quando sta all’aria. Hai presente? — conclude con il suo morbido accento partenopeo e uno sguardo che dice tutto.
Salendo ammiriamo il paesaggio. Napoli e il suo golfo visti dalla (quasi) cima del Vesuvio. Indimenticabile.
La polvere vesuviana, piano piano, ci ricopre tutti, a cominciare dalle scarpe: diventiamo grigiastri. Bisogna bere in continuazione, altrimenti ci secchiamo… con questo caldo!
Arriviamo finalmente al Gran Cono. Ecco perché si chiama così: è grande, ed è conico, sia da fuori che da dentro. Una montagna alta più di 1200 metri, proprio conica, e dentro una voragine a forma di cono inverso… Sul fondo, tappato dalla lava, cominciano a rinascere le prime piante: ci sono sprazzi di verde un po’ ovunque.
Sui fianchi del cono le stratificazioni si susseguono e raccontano la loro storia: quella di tante eruzioni che hanno lasciato il loro segno di pietra.
Gianni racconta e risponde alle domande. Il vento ci fa sopportare il sole e il caldo.
Poi scendiamo, e andiamo a mangiare un in bel ristorante all’aperto: bruschetta, olive, melanzane e altre leccornie napoletane.
Alla fine un dolce a forma di Vesuvio: con il Gran Cono e il Monte Somma che gli fa da spalla. Naturalmente in eruzione! I bambini fanno un passo indietro per la sorpresa e un po’ di spavento.
Nessuno se ne accorge, ma siamo in un locale patafisico… e la nostra ospite è “L’Ultima dei Molti Cani”… chi capisce è bravo.
Dopo una sosta un po’ più prolungata del previsto, ma con questo caldo!, andiamo a visitare l’Osservatorio Vesuviano con il suo bel museo ricco di strumenti antichi per lo studio del vulcano, campioni di rocce laviche e qualche bella simulazione.
La sera, cena in barca con mozzarella, pomodorini e pane. Tutto autoctono.
Simona Cerrato