6 gennaio / Genovesa
Ci svegliamo nella baia di Genovesa, un grande cratere quasi circolare riempiti dall’acqua del mare. L’isola sta affondando lentamente… “Quanto tempo ci metterà per scomparire?” si chiede Alberto. Nessuno ha una risposta. Con il dinghi costeggiamo la scogliera a picco, sulla quale nidificano varie specie di uccelli. Questo è un posto da uccelli. Sopra di noi volano leggeri i tropic bird: bianchi con la lunga coda biforcata, nidificano nei buchi delle rocce e arrivando in volo dal mare non sempre riescono a prendere bene la mira… a volte ce la fanno solo dopo alcuni tentativi. Le solite fregate fanno i loro giri veleggiando alte nel vento. Pellicani, aironi e tortore della lava, petrelle delle tempeste sbucano da ogni dove. Intravediamo anche le timide otarie dalla pelliccia: hanno troppo caldo — chi gliel’ha fatto fare di farsi crescere tutto quel pelo qui all’equatore? — e si nascondono all’ombra. Escono solo di notte.
L’isola è alta e piatta, con una vegetazione fitta di palo santo che, malgrado l’ambiente sia completamente arido e non si trovi nemmeno una goccia d’acqua, riescono a sopravvivere con la brezza umida che spira dal mare. I loro tronchi bianchi e profumati crescono direttamente dalla lava, spaccandola con la loro forza vegetale. Sui rami contorti degli alberi nidificano le sule piedirossi. A differenza delle loro cugine piediblu che non sono più capaci a fare il nido, le sule piedirossi fanno dei bei nidi robusti fuori dalla portata dei predatori. Con l’occhio vacuo e un po’ scemo ci guardano passare, abbarbicate ai rami con le loro zampe palmate. I bambini le osservano con Alfred e le confrontano con le sule piediblu viste su Española. Fulvia ha ormai l’occhio della perfetta naturalista e descrive le due specie con dettagli precisi.
Sul terreno invece ecco di nuovo i nidi delle sule di nazca, tutti contornati da una bianca corona perfettamente circolare. È disegnata con i loro escrementi: loro tengono il sedere sempre rivolto verso il sole e compiono un giro completo ogni giorno, così i loro escrementi si depositano in un cerchio tutto intorno. Molto evidente sulla lava scura.
Nugoli di petrelle volano senza sosta per distrarre i predatori, principalmente le voraci fregate, che pur essendo uccelli marini non sanno pescare in acqua. Le petrelle sono così tante che sembrano sciami di insetti. Qua e là si vedono, inconfondibili, i tropic bird. Anche per loro è stagione di cova e molti piccoli sono già nati. Assistiamo a uno spettacolo straordinario. Una fregata, vedendo un nido non sorvegliato, cerca subito di approfittarne per predare il pulcino rimasto solo. La madre, a pesca in mare, se ne accorge e ritorna subito a difesa del piccolo. Nel frattempo altre due fregate si sono unite pregustando il facile banchetto. La madre si rende conto di non potercela fare contro nemici così potenti. Vola velocissima verso il mare, e torna con un pesce che dà in pasto alle fregate, un po’ distante dal nido. Le fregate si lasciano facilmente distrarre da questo pasto gratuito. La madre è ora libera di soccorrere il suo pulcino.
Su un ramo poco distante si pavoneggia una fregata maschio. Sebbene non sia tempo di corteggiamento, ci mostra la sua pappagorgia gonfia. “È un maschio, con quel sacco rosso gonfio! Si dà un sacco di arie…— dice Amrit — bisognerebbe chiamarla fregata ariona…” Mentre Margherita, con il tono languido nella voce dal bell’accento subalpino, si commuove un po’: “Guarda, ha proprio la forma di cuore!”.
Simona Cerrato