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31 dicembre / Finalmente si naviga
Siamo appena passati con la Guantanamera accanto a due tartarughe di mare che si accoppiavano… abbracciate, si lasciavano trasportare lentamente dalla corrente. Sappiamo che andranno a deporre le uova in grandi buche scavate nella sabbia nelle dune dietro alla spiaggia di Bachra, sull’isola di Santa Cruz. Ci siamo stati oggi, e abbiamo visto le loro tracce nella sabbia che faticosamente si dirigevano verso un luogo protetto dove fare il nido. Anche i nidi abbiamo visto: ampi avvallamenti nella sabbia che nascondono le uova. Appena nate le tartarughine devono affrettarsi verso il mare e non indugiare nemmeno un momento sulla sabbia: troppi predatori aspettano la schiusa per farsi una scorpacciata. Anche nel mare saranno al sicuro solo dopo essersi portate al largo.
È stata la prima tappa a bordo della yate Guantanamera. La mattina è cominciata proprio male: ci siamo svegliati nella pioggia, abbiamo scoperto che c’erano delle spese da pagare non previste, l’autista dell'autobus ci ha più che raddoppiato la tariffa, l'autobus si è poi rotto lasciandoci su una strada fangosa in attesa del prossimo. Scarichiamo tutti i bagagli, qualcuno si accorge che la sua cinepresa è sparita… sarà rimasta alla pensione? Dovrà ritornare indietro. Ricarichiamo i bgagagli sul secondo autobus. Arriviamo al traghetto, scarichiamo i bagagli e li carichiamo sul traghetto. Dopo la breve traversata, di nuovo la solita storia: scarica i bagagli a ricaricali sul prossimo autobus che, forse, ci porterà al porto. L’organizzazione della giornata lascia un po’ a desiderare… Arriviamo al porto. Aspettiamo che venga recuperata la cinepresa, che arrivino gli ultimi due viaggiatori Georg e Philippe Lenzen, che arrivino i bagagli di Tommaso e Margherita e della loro famiglia… che vengano espletate le formalità di imbarco… le otarie sonnecchiano sulle panchine del molo destinate ai turisti, due maschi litigano per il posto. Le femmine li ignorano e continuano a dormire. Finalmente ci imbarchiamo. Una parte sulla Guantanamera e una parte sulla Yolita, che si rivelerà un po’ una delusione: manca un posto, e Enrico dovrà condividere la cabina con una turista canadese.
Ma da tutto ciò ci riprendiamo. Anche Chiara, la mamma di Albi e Fulvia, che nei primi giorni si era lasciata un po’ scoraggiare, si è ripresa: “È ufficiale — annuncia elegante e allegra nella sua gonna etnica viola — Sono felice. Mi sono rilassata!” Infatti dopo la prima tappa, siamo di nuovo tutti incantati dalla straordinaria natura delle Galápagos. Sulla spiaggia i bambini con il biologo studiano la tassonomia. Con l’autorizzazione della guida del parco che ci accompagna — qui non solo non si dovrebbe portare via niente ma nemmeno toccare — raccolgono pezzetti di conchiglie, rametti, resti di granchi finiti preda di qualche uccello, foglie secche, piume ecc. Li sistemano secondo caratteristiche che decidono loro, e poi danno loro un nome scientifico: genere e specie. Per esempio Exviventi ferrarellus per pietre che non sono né lisce né ruvide, Exviventi piccantus per resti di granchi e piume aguzze, Pietra nerus e Pietra blancus per pietre di diverso colore. Ecco come i biologi mettono ordine nell’immensa varietà della natura.
Nel frattempo, ammiro i tuffi delle sule e dei pellicani, i gamberi rossi che si arrampicano sulle rocce nere, e vedo sfrecciare dietro le mie spalle un fenicottero rosa. C’è una piccola colonia, in una laguna di acqua salmastra a poche centinaia di metri. Sull’acqua scura si riflettono i colori mutevoli del cielo, e qua e là si stagliano le strane forme rosa dei fenicotteri.
È l’ultimo dell’anno, ma nessuno sente tanto l’atmosfera di capodanno. Festeggeremo lo stesso: i due gruppi, Yolita e Guantanamera, insieme sullo yate pù grande.
Simona Cerrato