Crescono nella Russia di questi anni le emissioni di gas in grado di provocare l’effetto serra. Lo affermano le stesse autorità di Mosca
Sono passati già due anni da quando il governo di Mosca ha approvato l’adesione del proprio Paese al Protocollo di Kyoto, ma i primi segnali ufficiali dicono che la Russia stenta a incamminarsi verso una diminuzione delle emissioni pericolose per la stabilità dl clima planetario. Secondo un rapporto dell’agenzia per il monitoraggio ambientale della Russia, Roshydromet, le emissioni russe sono cresciute di quasi l’11% nel periodo compreso tra il 1999 e il 2004, passando da 1873 a 2074 milioni di tonnellate equivalenti di anidride carbonica.
Il rapporto è stato presentato all’United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC), l’organo espressione della convenzione stipulata tra i Paesi che si sono dati l’obiettivo di ottenere una stabilizzazione delle concentrazioni di gas-serra nell’atmosfera per prevenire i mutamenti climatici.
In ogni caso, grazie alla grave crisi economica e industriale subita dalla Russia negli anni Novanta, il livello di emissioni annunciato da Roshydromet è ancora inferiore del 30% alle 2960 milioni di tonnellate emesse nel 1990, cioè nell’anno preso come punto di riferimento dal Protocollo di Kyoto. Paradossalmente, dunque, nonostante l’aumento di emissioni, Mosca avrà un ampio surplus di anidride carbonica da vendere ai Paesi industrializzati nell’ambito del sistema chiamato “emission trading”.
Dal rapporto di Roshydromet (lungo ben 163 pagine), si ricava l’evidenza di un costante calo delle emissioni russe dal 1990 al 1999, seguito però, con la ripresa economica, da una graduale ripresa negli anni successivi: nel 2000 sono state raggiunte le 1990 tonnellate, mentre un anno dopo si era già poco oltre le 2000 per arrivare a 2054 nel 2003.
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