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Napoli, attenzione ai Campi Flegrei

Sono i Campi Flegrei, forse più del Vesuvio, a minacciare Napoli. Tra il V e il XV secolo dopo Cristo i Campi Flegrei sono stati soggetti a fenomeni di sollevamento e di abbassamento del suolo, registrando spostamenti di circa sette metri di altezza

Chi si preoccupa che possa essere il Vesuvio a distruggere Napoli così come ha distrutto Pompei ai tempi dell'Impero romano, dovrebbe volgere il suo sguardo in un'altra direzione. Secondo uno studio pubblicato sulla rivista "Geology" (vol. 34, n. 2) da ricercatori dell'Université Aix-Marseille di Aix-en-Provence coordinati da Christophe Morhange e Nick Marriner il passato geologico della zona dei Campi Flegrei è tormentato da fenomeni di sollevamento e di abbassamento del suolo che potrebbero ripresentarsi presto.

Gli studi sono stati condotti sui resti archeologici del mercato romano di Pozzuoli, risalenti a circa 2000 anni fa. Alcune colonne analizzate risultano incrostate da resti di molluschi marini e coralli. Questi reperti indicano che per un certo periodo di tempo l'antica città è stata sommersa dalle acque della Baia di Pozzuoli. Le analisi al radiocarbonio, utilizzate per datare l'età dei resti di animali marini, hanno evidenziato che il fenomeno si è ripetuto ben tre volte tra il V e il XV secolo dopo Cristo.

I Campi Flegrei sono una caldera, cioè un'ampia depressione causata dal collasso di un vulcano. La presenza del magma sotterraneo e di altri fluidi vulcanici spinge ogni tanto in alto il suolo che poi si riabbassa, finendo sotto il livello del mare. Secondo i dati raccolti, dalla caldera è stato eruttato magma una sola volta, nel 1538 e si è trattato di un'eruzione molto piccola. Ma dal V secolo dopo Cristo il terreno è salito e poi ridisceso almeno altre due volte con sbalzi di circa sette metri di altezza. Non c'è indicazione di quando potrebbe scendere di nuovo, ma il terreno può sopportare la tensione data dalla presenza del magma fino solo a un certo punto oltre il quale lo spostamento del suolo è inevitabile.

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