La mattina abbiamo navigato da Rabida fino a Bartolomé passando nel canale tra Santiago e Sombrero Chino. Rabida è rossa, con bradelli di verde che contrastano con il bianco scheletrico dei palo santo in tenuta invernale. Santiago è nera: scuri fiumi di lava pietrificata si buttano nel mare. Non c’è traccia di vegetazione. Solo sulla riva si adagia qualche cadavere bianco di alberi portati dalla marea.
Durnate la traversata leggiamo Kamillo Kromo: la divertente storia di Altan sull’evoluzione dei camaleonti che imparano a diventare camaleontici.
Ora, mentre scrivo, la Luna si rispecchia nel mare davanti all’isola di Bartolomé… è uno spettacolo affascinante, ma visto più volte. L’isola invece è qualcosa di mai visto. Si erge con i suoi pinnacoli lavici fino a più di 100 metri di altezza. Sulla riva, vive una colonia di pinguini, simpatici e amichevoli. Sono piccoli e grassottelli. In acqua sono delle frecce. Sono arrivati qui seguendo la fredda corrente di Humboldt che viaggia dall’Antartide verso l’equatore, scorrendo lungo le coste dell’America meridionale. Poi alcune otarie, qualche iguana, i pellicani.
Il sentiero si inerpica fino alla cima più alta. L’isola è un vulcano, sono evidenti i molti crateri da cui l’isola stessa è fuoriuscita. Si cammina su passerelle di legno per non lasciare impronta umana sul terreno. Il paesaggio è primordiale: così doveva essere la Terra dopo che la massa di roccia fusa si era raffreddata e il vapore acqueo rilasciato nel processo aveva prodotto le piogge che nel tempo hanno formato gli oceani. Le rocce sono prevalentemente rossastre e giallastre, con intarsi di violetto, nero, grigio con sfumature di verde… Le forme hanno congelato nelle loro contorsioni la violenza delle antiche eruzioni. Sono morbide e dure al tempo stesso. Sopra il corpo dell’isola, sono stati scavati canali curvi e profondi: sono quello che rimane delle ultime colate. Si sente che questa isola è nata da poco. Poco più di un milione di anni fa. La vegetazione è quasi inesistente. Poche tsilantie insularis, si abbarbicano argentee alle rocce. Qualche esemplare del raro cactus della lava. Gli animali ancora più rari. Incontriamo una lucertola.
Sulla sommità il vento soffia libero. La vista sulle isole circostanti in questa giornata tersa e pulita è strepitosa. Ci riempiamo di queste immagini, del suono del vento, delle sensazioni speciali… Aspettiamo il tramonto. “Un tramonto vulcanico”, dice Alberto. Il mare da blu diventa argento. Le isole in lontananza diventano quasi trasparenti.
“Qui è come Marte… gli stessi colori, e i canali… solo che qui c’è l’acqua intorno. Ho visto delle foto di Marte, mandate dal satellite e anche da quelle due macchinine che non mi ricordo più come si chiamano… Uguale… Preferirei vivere qui, alle Galápagos, perché qui c’è il cactus della lava,” conclude Amrit.
Simona Cerrato