Alle 8:30 siamo pronti per l’esplorazione del Chato, l’altopiano centrale dell’isola di Santa Cruz dove vivono protette le tartarughe giganti. Quelle con il carapace a cupola, che amano i posti verdeggianti e umidi.
Entriamo con cautela nella zona protetta. Siamo degli ospiti tollerati, ma comunque un po’ intrusi. Dobbiamo camminare lentamente, non correre, non gridare… non avvicinarci troppo alle enormi bestie per non spaventarle. Se arrivi da dietro, alle loro spalle, si spaventano e soffiano per dare un avvertimento. Le vediamo subito, sono tante, come protuberanze viventi che emergono dalla terra. E della terra hanno lo stesso colore, bruno, e sul carapace crescono i muschi. Con le loro zampone, fatte di un materiale gommoso, robusto e flessibile, ricoperto di scaglie, si spostano con primitiva lentezza. Ci guardano con le loro facce incomprensibili: che cosa pensa una tartaruga? Secondo Mary dicono tra sé e sé: “Che cosa vogliono questi esseri… perché ci guardano con queste facce incomprensibili? che ci lascino in pace”.
Osserviamo, affascinati, emozionati. Tirano fuori il collo “che sembra una molla — dice Amrit — e mangiano l’erba… hanno una lingua buffissima. Che carine!” Avanziamo di poche decine di metri. Arriviamo a uno stagno dove nell’acqua fangosa si rifresca un gruppo di tartarughe. Fanno dei rumori strani, gorgogliano… e a un certo punto sentiamo anche l’inequivocabile borbottio di una scorreggiona di tartaruga. Tutto intorno cacche di tartaruga! I bambini scherzano: “Che puzza! Tappati il naso, presto…”
Come veri naturalisti esploratori, tutti prendono il loro diario di viaggio e scrivono o disegnano dopo avere ascoltato le spiegazioni di Alfred. Bisogna sapere per vedere: i bambini ascoltano e osservano. Questo incontro con le tartarughe, nessuno lo dimenticherà.
Dopo pranzo sono arrivati Margherita e Tommaso, da Cuneo. Tutti i loro bagagli sono rimasti non si sa dove tra Amsterdam e Quito. Si dovranno arrangiare con quello che hanno nello zainetto. Quello che manca glielo presteranno gli altri.
Appena in tempo per partecipare alla caccia alla uova. Vogliamo vedere se il mimetismo funziona veramente. I bambini hanno ognuno due uova: uno lo colorano dei colori dell’ambiente circostante, l’altro di colori sgargianti, molto appariscenti. I bambini hanno a disposizione acquarelli, pennarelli neri, rossi e blu, pennelli… Mary, mentre gli altri finiscono di colorare le loro uova, comincia a mangiarsi i suoi… ma non si può mangiare l’oggetto dell’esperimento! E viene subito bloccata, lei è un po’ delusa, è ora di merenda e ha fame. Poi i bambini si dividono in due squadre. La prima squadra prende tutte le uova, sia quelle mimetiche che quelle sgargianti, e le nasconde nel terreno, in un territorio delimitato. L’altra squadra non guarda, e poi cerca le uova. Alla fine si contano quante uova di ogni tipo sono state trovare. Il risultato, come previsto dal biologo, corrisponde alla aspettative: la prima squadra trova 5 uova non mimetiche e 1 uovo mimetico, e la seconda squadra trova 7 uova non mimetiche e 2 mimetiche. In totale 12 a 3: il mimetismo funziona… le uova mimetizzate sono sopravvissute ai predatori. L’esperimento è divertente. E anche Mary, sebbene affamata, si è divertita.
Più tardi, verso sera, si va in città a Puerto Ayora. Alcuni vanno a giocare al parco giochi sul lungo mare insieme ai bambini del posto. Giocano sulla giostra di corda. I bambini delle Galápagos sono quasi dei funambuli: girano velocissimi e saltano su al volo.
Alla fine della giornata, come sempre, scrivo il diario della nostra spedizione ed Enrico aggiorna il sito.
Simona Cerrato