I festival della scienza, soprattutto quando escono dagli spazi chiusi e invadono le piazze e le strade, riescono a raggiungere un pubblico che normalmente non frequenta i musei o gli eventi scientifici organizzati in sale dedicate. Per coinvolgere i passanti, però, occorre inventare nuovi strumenti comunicativi, e addestrare una nuova generazione di animatori particolarmente abili.
Il perfetto animatore è in grado di fare humour come di utilizzare altri diversi registri linguistici, di essere autoritario trattando con cortesia un pubblico, di organizzare e gestire tempi anche in situazioni di tregenda, (respirone), cooperare e collaborare con gli altri animatori, rimanere aggiornato sulle notizie, spaziare tra varie conoscenze non solamente scientifiche...
Nella realtà, distanti dall'iperuranio e dalle lavagne di buoni propositi dei corsi di formazione, le cose sono ben diverse. Ogni animatore cresce con propri limiti, predisposizioni, modelli ispiratori, esperienze personali.
Non tutti riusciranno quindi nel pronunciare al momento giusto la battuta di humour (perché “La scienza è divertente”, come negli slogan di tutti i moderni science centre, quindi “La scienza DEVE essere divertente”); non tutti sapranno imporsi con carisma ieratico sul gruppo (l’animatore come magister vitae); non tutti sapranno come funziona il trasmutatore di Calvin o chi ha appena vinto il premio Nobel per la patafisica (l’animatore Colui-Che-Tutto-Sa). Eppure e nonostante tutto, e
per fortuna soprattutto, esistono animatori eccellenti, capaci di fare delle proprie peculiarità cifra stilistica consapevole e non passiva.
È naturale che nella caratterizzazione nascano specializzazioni circa i pubblici: chi non vuole operare che con adulti professionisti “sì-lo-so-già”, chi sta bene solo tra bambinetti pieni di domande e energia e moccio dal naso.
Esiste tuttavia anche un altro grado di specializzazione, meno evidente, spesso meno consapevole, determinato dai luoghi e non dal pubblico. L'atteggiamento nei confronti di un pubblico, quale che esso sia, non è il medesimo se lo si accoglie nel proprio museo o se lo si va a trovare nel suo habitat naturale. Quando il pubblico è in un contesto non suo, come un museo, lo spirito di accoglienza e di "Benvenuti, fate come se fosse casa vostra" è determinante, e l'animatore saprà tradurlo in atteggiamenti. Insomma, saprà dire dove sono i bagni prima che venga chiesto loro.
La situazione contraria (andare a cercare il pubblico nelle scuole, nelle piazze,...) presenta altri rischi. Le classi scolastiche, ad esempio, sono per studenti (e insegnanti) una piccola roccaforte, i cui segreti vengono mantenuti tali, e talvolta utilizzati a difesa della roccaforte: “Se mi metto così c'è Carbini in seconda fila che mi copre perfettamente, la campanella suona alle 11.50 e non alle 12.00, così riesco a scomparire per tutta la durata di ‘sta roba” ecc.
La "tana" deve saper essere prima di tutto vissuta con confidenza anche dall'animatore, ma poi, tutti assieme, rivissuta e reinterpretata fisicamente (spostiamo i banchi), funzionalmente (misuriamo a distanza la distanza testa di Carbini-cattedra con il metodo della triangolazione), emotivamente (la parete diventa schermo per proiezione).
Il contesto meno comune, e per questo anche frutto di minori riflessioni, è quello dei luoghi neutri per entrambe le parti, e non dedicati di solito ad attività di tipo scientifico: piazze, strade, supermercati. In queste situazioni nessuno è nella condizione di fare il padrone di casa: lo spazio pubblico deve rimanere pubblico, e la fruizione diventa molto meno strutturata nei tempi e nelle dinamiche.
Tra carrelli, “Chi-è-questa-gente”, “No-grazie-non-mi-serve-nulla”, “Dovrebbero-fare-queste-cose-più-spesso”, le reazioni dei passanti sono spesso molto stimolanti quanto difficili da gestire.
Chi è quindi l'animatore itinerante? I contesti "inusuali" sanno essere molto crudeli, e selezionano rigidamente gli operatori, ancor più talvolta di quanto la self-confidence degli animatori stessi faccia. Purtroppo però non sono molti i contesti organizzati in cui è possibile praticare con un po' di costanza l'animazione di strada, così spesso ci si trova privi di riflessioni sullo stile e sulle caratteristiche che la propria persona e il contesto richiedono e impongono. In strada è molto difficile prescindere dall'arte di trasformare i luoghi senza intervenire direttamente su di essi, dalla capacità di gestire tempi e picchi di attenzione, nonché di destrutturare un discorso in moduli fruibili in maniera indipendente.
Delle molte manifestazioni a carattere scientifico che si stanno sviluppando in Italia poche purtroppo pongono l'attenzione sui luoghi informali come potenziali nodi di aggregazione attorno alla scienza, là dove è possibile entrare in contatto con persone che normalmente non frequentano i musei o gli eventi a tema scientifico.
Negli anni il Perugia Science Festival ha voluto fare sua peculiarità l'operare direttamente nei luoghi di transito e di naturale flusso di persone per parlare di scienza. E questo richiede particolare attenzione alla formazione degli animatori, che passa anche attraverso la possibilità di vedere in azione eccellenti animatori e demonstrator internazionali direttamente nelle piazze, in prossimità di scale mobili, negli atri dei centri d'acquisto.