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Vittorio Silvestrini

Vittorio Silvestrini

Storia di un sogno da Bagnoli a Bruxelles

Come ogni anno, la Commissione Europea ha assegnato a Bruxelles i premi Descartes per la ricerca collaborativa e per la comunicazione della scienza. La Città della Scienza di Napoli, il più grande science centre in Italia, ha vinto il premio per la comunicazione della scienza. Il “padre fondatore” di Città della Scienza, il fisico Vittorio Silvestrini, ci racconta la storia del progetto, sottolineando le sue origini: la crisi dell'area industriale di Bagnoli.

30 marzo 2007
Matteo Merzagora

La Città della Scienza di Napoli non è solo un museo e una piattaforma per la didattica informale, ma un centro di formazione permanente, un incubatore di impresa, un modello di sviluppo economico, un progetto con una forte vocazione locale. Il premio Descartes, che avete appena ricevuto, è invece specificamente europeo: come si coniugano questi due aspetti?


Città della Scienza ha una missione che ha senso soltanto a larga scala. Bagnoli era un'area industriale che dava lavoro a 15 000 persone, su un territorio grande quanto una media città italiana che viveva dell'economia indotta dalle fabbriche. Poi le fabbriche sono state dismesse, perché erano state calate dall'alto sul territorio, senza tener conto che la competitività dei grandi sistemi industriali non può prescindere dal tenore complessivo delle strutture e delle infrastrutture, e dal contesto culturale e sociale in cui sono inseriti.

Allora, che fare? Come sostituire queste industrie sfruttando le opportunità offerte da aree molto belle e immerse nella città? Non esiste un modello di sviluppo credibile che prescinda dalle attività produttive, quindi abbiamo voluto pensare non a un progetto post-industriale, bensì neo-industriale, capace cioè di ripartire dalle risorse locali: da un lato il territorio, e dall'altro la capacità di lavoro e i saperi, le risorse culturali. Era necessario un progetto che favorisse un'industrializzazione dal basso, capace di generare competitività sui mercati internazionali ed essere rispettosa dell'ambiente, cosa che si può fare trattando poca materia e molto ingegno. La sfida era dunque costruire un ponte molto stretto fra la produzione di saperi scientifici e l'industria, aumentando nel contempo il tasso di conoscenza diffusa nella società.


E il catalizzatore di tutto questo processo può essere un museo della scienza?


Sì, a patto che si tratti di un museo della scienza di nuova generazione, opportunamente integrato con un centro di alta formazione e con un incubatore d’impresa: è quello che abbiamo cercato di fare a Bagnoli. Napoli è un osservatorio privilegiato per guardare al futuro: come in tutti i territori di frontiera, le contraddizioni che poi esploderanno anche altrove si manifestano precocemente. Il tipo di problema che Napoli ha vissuto negli anni Ottanta  è oggi un problema a livello europeo. Se l'Europa vuole mantenere un buon livello di competitività con Stati Uniti, Giappone e soprattutto con le superpotenze emergenti in Asia, deve necessariamente essere leader sul terreno della innovazione del sapere. Il modello Bagnoli va proprio in questo senso: in un certo senso è naturale che Città della Scienza trovi i suoi riconoscimenti a livello Europeo.


Il premio Descartes però è assegnato per la comunicazione della scienza al pubblico, non per un nuovo modello economico...


Significa che il concetto di comunicazione della scienza è stato inteso in maniera estesa. D'altronde il peso dato a livello europeo nel settimo programma quadro per la ricerca scientifica al tema “scienza nella società”, o il manifesto di Lisbona sulla società della conoscenza, sono tutti sintomi, tradotti poi in azioni politiche, che confermano questa tendenza...


E lei si sente in qualche modo protagonista? Ritiene cioè di avere contribuito a delineare questa tendenza?


Posso dire di provare grande soddisfazione. Siamo una piccola cosa, ma sono personalmente fiero di aver avuto alcune intuizioni importanti.


Città della scienza è oggi protagonista in molte iniziative europee e internazionali su scienza e società: era qualcosa di progettato fin dall'inizio, o è stata un'esigenza maturata per far fronte alle inevitabili difficoltà di un'impresa come la vostra?


Le difficoltà sono state e sono il nostro pane quotidiano. Per campare possiamo far conto su un sostegno pubblico stabile molto limitato: circa un milione di euro all'anno, sui venti-venticinque del nostro conto economico. Tenga presente che la Cité des Sciences et de l'Industrie di Parigi, La villette, che ha una dimensione di poco superiore, ha un contributo pubblico di ottanta milioni di euro. Abbiamo fatto di necessità virtù e siamo diventati forti in termini di capacità di progetto: è abbastanza naturale che oggi facciamo parte delle principali “squadre” europee. Tra l'altro, questa necessità di finanziarsi attraverso i progetti oggi è diventata importante anche per tante altre realtà europee.


In che modo questo premio può essere utile alla Città della scienza?


Per lavorare e crescere Città della scienza ha bisogno di un supporto complessivo: politico, economico, imprenditoriale. Gli accreditamenti più forti su questo terreno sono quelli che vengono da lontano: conto che il premio Descartes aiuti molta Città della scienza.

E adesso? Quali progetti per il futuro?


Abbiamo in cantiere due sviluppi importanti. Stiamo cominciando i lavori per ristrutturare l'ultimo grande edificio del complesso di Città della scienza, dove ambienteremo un viaggio nel corpo umano: una grande struttura espositiva, ma anche un'attività di supporto alla formazione permanente del personale sanitario, nonché un centro di guida e di educazione alla prevenzione delle malattie per i cittadini.  Il secondo sviluppo riguarda la creazione di un'area in cui vadano a installarsi le aziende che via via escono dall'incubatore di impresa.


Per saperne di più:

Pietro Greco, La citta della Scienza. Storia di un sogno a Bagnoli, Bollati Boringhieri, 2006
I premi Descartes


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