Genetica del gusto e tradizioni enogastronomiche

Il gusto è il fattore maggiormente influenzante la scelta dei cibi. In ogni individuo, la percezione dei quattro sapori fondamentali (aspro, salato, dolce, amaro) è legata anche a fattori genetici. In genere esiste una preferenza per il dolce e un’avversione per l’amaro. Tre diversi recettori sono stati sinora identificati per il gusto dolce, chiamato dolce-umami (T1Rs), e almeno 30 per l’amaro (T2Rs). Diversi altri recettori, molecole e vie di trasmissione del segnale che fornisce poi la percezione del gusto devono ancora essere identificati. Le correlazioni tra gusto e genetica sono un tema di ricerca molto moderno che potrà farci conoscere meglio anche le nostre tradizioni e la nostra cultura alimentare.
Elementi base della cucina di un territorio (o di un popolo) o la tipologia stessa della cucina (dolce, salata, agrodolce ecc.) si trovano spesso delimitati in areali ben precisi. Ad esempio, il peperoncino piccante, elemento fondamentale della cucina calabrese, è apprezzato in un’area molto ristretta dell’Italia meridionale e non lo si ritrova più, come elemento caratterizzante, a soli pochi chilometri di distanza nelle regioni confinanti quali Campania, Basilicata, bassa Puglia ecc. In questi casi sorgono spontanee alcune domande. Una volta introdotto nell’alimentazione, il peperoncino è stato accettato solo dai calabresi in quanto geneticamente predisposti ad apprezzarlo? E che dire delle coltivazioni che millenni di storia agricola hanno selezionato? Abbiamo scelto, e quindi coltivato, ciò che meglio cresceva nelle nostre terre e ci siamo di conseguenza adeguati a mangiarlo o abbiamo selezionato ciò che eravamo predisposti ad apprezzare? Perché alcune cucine sono particolarmente “dolci” e altre meno? È solo tradizione, spesso legata ai metodi di conservazione degli alimenti, o esiste una componente biologica in grado di spiegare almeno in parte la diversa capacità di percepire i vari sapori?

L’esempio dell’amaro

Diversi composti presenti nei cibi come amminoacidi, peptidi, esteri e lattoni, fenoli e polifenoli, flavonoidi e terpeni, metilxantine (caffeina), sulfimidi (saccarina) ecc. stimolano la percezione dell’amaro. Gli studi sulla genetica del gusto iniziarono casualmente nel 1931 nel laboratorio del chimico britannico A. F. Fox. Un giorno, durante un esperimento per sintetizzare il composto PTC (feniltiocarbamide), una sostanza di sapore amaro appartenente alla famiglia delle tiouree, avvenne un’esplosione che disperse la sostanza nell’aria. Alcuni colleghi presenti percepirono un forte sapore amaro mentre Fox non percepì assolutamente nulla. A questa prima osservazione sono seguiti diversi studi che hanno dimostrato che l’incapacità di percepire il PTC (o un composto simile chiamato PROP) varia da popolazione a popolazione da un minimo del 3% nell’Africa occidentale a oltre il 40% in India. Nella nostra popolazione il 30% è classificato come “non taster” (cioè incapace) mentre il 70% è “taster” (ovvero capace). Questa capacità percettiva diminuisce con l’età soprattutto nelle donne, che da adulte accettano cibi amari normalmente rifiutati da bambine. Utilizzando un semplice test, una cartina da appoggiare sulla parte anteriore della lingua che contiene concentrazioni note di PTC, è possibile distinguere tre gruppi di individui: i taster ovvero quelli che hanno una percezione molto elevata e che in genere allontanano subito la cartina spesso con repulsione (soglia di circa 1,0 x 10-4 mol al litro), i medium taster e i non taster ovvero quelli che percepiscono molto poco o per nulla l’amaro (soglia maggiore di 2,0 x 10-4 mol al litro). Questa diversa capacità percettiva è un tipico carattere genetico ereditario. I taster, più sensibili all’amaro, non prediligono i cibi come le crucifere ricchi in tiouree (cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles, rape ecc.), quelli contenenti caffeina, chinino, isoumuloni (amaro della birra), naringina (pompelmi). Sono inoltre più sensibili alla percezione del piccante (irritante per effetto di sostanze quali la capsaicina del chili, la piperina del pepe nero, e lo zingerone presente nel ginger) e del grasso (distinguono meglio rispetto ai non taster tra insalate con il 40% e il 10% di grassi) per una maggiore presenza di terminazioni del nervo trigemino sulla lingua e nel cavo orale. Ovviamente i non taster tendono a comportarsi in maniera completamente opposta. Se ora ricordiamo la notevole diversa distribuzione di non taster nelle popolazioni dell’Africa Occidentale (3%) rispetto a quelle dell’India (40%), sulla base di quanto sinora detto ci aspetteremo in India una cucina mediamente più piccante, grassa e con presenza di cibi amari rispetto a quella dell’Africa Occidentale.

La capacità di percepire l’amaro ha avuto e sicuramente ha ancora delle notevoli implicazioni e conseguenze sia positive che negative. Vediamone alcune: a) in passato ha comportato sicuramente un importante vantaggio selettivo permettendo di evitare l’ingestione di cibi amari che spesso in natura sono tossici o velenosi; b) porta a eliminare dalla dieta cibi come le crucifere che, se introdotti in consistenti quantità, interagiscono con il metabolismo dello iodio producendo gozzo, una grave malattia della tiroide (a riprova di ciò va ricordato che i deficit tiroidei sono rari tra i taster); c) porta a preferire diete povere in frutta e vegetali (cosa che può tradursi in una ridotta prevenzione di tumori, specie quelli intestinali); d) si associa mediamente a una massa corporea inferiore valutata come indice di massa corporea o BMI (body mass index): e) comporta un numero percentualmente inferiore di carie.

Di recente, nel corso del 2003, è stato identificato il gene PTC coinvolto in questo tipo di percezione dell’amaro. Questo gene è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 7, e la sua analisi ha messo in evidenza alcune differenze in grado di spiegare la diversità tra taster e non taster. La proteina prodotta dal gene PTC può contenere la sequenza alanina-valina-isoleucina (AVI) oppure quella prolina-alanina-valina (PAV). Le due sequenze AVI e PAV identificano tre diversi genotipi (ognuno di noi ha due geni uno trasmesso dal padre e uno dalla madre): in linea generale, i soggetti PAV ==> PAV corrispondono ai taster, quelli PAV ==> AVI ai medium taster e gli AVI ==> AVI ai non taster. È interessante, dal punto di vista evolutivo, ricordare che nelle scimmie, sia del Nuovo che del Vecchio Mondo, non esiste il genotipo PAV ==> PAV (taster). È interessante poi notare che l’AVI ==> AVI non esiste nelle popolazioni autoctone dell’America sudoccidentale, che difatti presentano una frequenza molto bassa di non taster.

Sulla base dell’esperienza acquisita nell’analizzare il gusto (sia fenotipo che genotipo) in varie popolazioni italiane, il progetto si propone di verificare la percezione gustativa dei popoli della Via della Seta e di confrontare i risultati con i dati relativi alle tradizioni enogastronomiche delle stesse. Questa indagine verrà condotta sugli stessi campioni che si sottoporranno al test genetico attraverso la somministrazione di un semplicissimo test per il gusto (cartina sulla lingua) associato a un breve questionario sulle preferenze alimentari. Le comunità coinvolte sono le comunità del cibo di Terra Madre, indicate al precedente punto del progetto.