Darwin in Argentina

Tratto da Charles Darwin, Viaggio da un naturalista intorno al mondo

Bahía Blanca

Al nord del Rio Negro, fra questo e il paese abitato presso Buenos Ayres, gli Spagnuoli hanno un solo piccolo stabilimento, creato recentemente a Bahía Blanca. Dista in linea retta da Buenos Ayres quasi cinquecento miglia inglesi (800 chilometri). Le tribù erranti di cavalieri Indiani, che hanno sempre occupato la maggior parte di questo paese, avendo ultimamente tormentato molto le Estancias più lontane dal centro, il governo di Buenos Ayres ha messo in piedi allora un’armata sotto il comando del generale Rosas onde sterminarli. I soldati erano allora accampati sulle sponde del Colorado, fiume che sta a circa ottanta miglia al nord del Rio Negro. Lasciando Buenos Ayres, il generale Rosas attraversò in linea retta quelle inesplorate pianure; e siccome in tal modo il paese fu liberato a dovere dagli Indiani, lasciò dietro di sé, a grandi intervalli, piccoli distaccamenti di soldati con una certa quantità di cavalli (a posta), onde tenere in tal modo comunicazione colla capitale. Siccome la Beagle doveva visitare Bahía Blanca, determinai di andare avanti per terra; ed infine allargai il mio viaggio andando colla posta a Buenos Ayres.

Indiani e fango. Bahía Blanca

Al mattino mandammo di buon ora a cercare i cavalli, e si partì per un’altra allegra galoppata. Passammo la Cabeza del Buey, vecchio nome dato al capo di una grande palude, che si estende da Bahía Blanca. Colà si cambiarono i cavalli, e si passò per alcune leghe in mezzo a paludi e maremme salate. Dopo aver cambiato un’ultima volta i cavalli, si ricominciò a guazzare nel fango. La mia cavalcatura cadde, e fui ben concio di melma nera, incidente sgradevolissimo, quando non s’ha altro vestito di ricambio. A poche miglia dal forte s’incontrò un uomo, il quale ci disse che era stato sparato un grosso cannone, come segnale della vicinanza degli Indiani. Lasciammo all’istante la strada, e seguimmo il margine di una laguna, che quando si è inseguiti presenta il miglior mezzo di fuga. Eravamo tutti contenti di trovarci al riparo entro le mura, quando ci accorgemmo che tutto quell’allarme non era nulla, perché si trovò che quegli Indiani erano amici che andavano a raggiungere il generale Rosas.

Bahía Blanca non merita quasi il nome di villaggio. Poche case e baracche per le truppe stanno chiuse da un profondo fosso e da un forte muro.

(…) Allora cavalcammo in pace e tranquillità fino ad un punto basso chiamato la Punta alta, donde potevamo vedere quasi tutto il grande porto di Bahía Blanca. L’immensa distesa delle acque è rotta da numerosi banchi di fango, che gli abitanti chiamano Cangrejales o granchierie pel numero infinito di granchiolini. La melma è così molle che è impossibile camminarci sopra, anche solo per pochi passi. (…) Passammo la notte a Punta Alta e impiegai il mio tempo in cerca di ossa fossili; poiché quel luogo è una vera catacomba di avanzi di razze estinte.

 Fossili di giganteschi mammiferi. Punta Alta

Più vicino alla costa vi sono alcune pianure fatte coi rimasugli della pianura superiore, con melma, ciottoli, e sabbia spinta su dal mare durante il lento sollevamento del terreno, l’elevazione del quale noi vediamo chiaramente negli strati superiori di conchiglie recenti, e nei ciottoli arrotondati di pomice sparsi sul terreno. A Punta Alta abbiamo una sezione di una specie di queste piccole pianure di recente formazione, che è sommamente interessante pel numero e pel carattere straordinario degli avanzi dei giganteschi animali terrestri che si trovano in essa. Questi avanzi sono stati appieno descritti dal professore Owen, nella zoologia del viaggio della Beagle, e sono depositati nel collegio dei Chirurghi. Darò qui soltanto un breve cenno della loro natura.

Primo, alcune parti di tre cranii e d’altre ossa di Megatherium, il nome del quale basta ad esprimere le grosse dimensioni; secondo il Megalonise, grosso animale affine a quello; terzo, il Schelidotherium, animale parimente affine di cui ottenni uno scheletro quasi perfetto. Deve esser stato grosso quanto un Rinoceronte; nella struttura del capo, secondo il signor Owen, si avvicina molto al Formichiere del Capo, ma per alcuni altri rispetti si accosta agli Armadilli; quarto, il Mylondon darwinii, genere strettamente affine ma di mole un po’ inferiore; quinto un altro quadrupede sdentato gigantesco; sesto, un grosso animale con un invoglio osseo a scompartimenti molto simile a quello dell’Armadillo; settimo, una specie estinta di cavallo, del quale dovrò in seguito parlare; ottavo, un dente di un animale pachiderma, probabilmente lo stesso dello Macrauchenia, animale tozzo, munito di un lungo collo come quello di un cammello, del quale riparlerò in seguito. Infine, il Toxodon, forse uno degli animali più strani che siano mai stati scoperti: la sua mole era uguale a quella di Elefante o Megaterio, ma la struttura dei suoi denti, secondo quello che dice il signor Owen, dimostra evidentemente che esso era affinissimo ai rosicanti, ordine che ai nostri giorni comprende la maggior parte dei più piccoli quadrupedi; in molti particolari era affine ai pachidermi, giudicando dalla posizione degli occhi, delle orecchie e delle narici, era probabilmente acquatico come il Dugongo, ed il Lamantino, ai quali era pure affine. Oh quanto meravigliosamente i varii ordini, oggidì ben separati sono collegati insieme in varii punti alla struttura del Toxodon!

Gli avanzi di questi nove grandi quadrupedi, e molte altre ossa distaccate, si rinvennero incorporate nella spiaggia, in uno spazio di circa 200 metri quadrati. È un fatto notevole che tante specie differenti siano state trovate insieme; e ciò dimostra quanto numerosi devono essere stati i generi degli antichi abitanti di questo paese.

(…) Il modo di vivere di questi animali imbarazzava grandemente i naturalisti, finché il professore Owen recentemente non ebbe sciolto con sommo ingegno il problema. Per la loro semplice struttura i denti di questi animali Megateroidi dimostrano che essi vivevano di vegetali, e probabilmente delle foglie e dei ramoscelli degli alberi; le loro forme pesanti, e le forti e incurvate unghie sembrano tanto poco favorevoli alla locomozione, che alcuni eminenti naturalisti hanno presentemente creduto che, simili al Tardigrado, al quale sono intimamente affini, vivessero arrampicandosi sugli alberi e cibandosi delle foglie. Era un’idea ardita, per non dir presuntuosa, immaginare alberi anche antidiluviani forniti di rami tanto robusti da sostenere animali grossi come elefanti. Il professore Owen, con ipotesi più probabile crede che, invece di arrampicarsi sugli alberi, essi tirassero giù i rami e sradicassero gli alberi più piccoli, e in tal modo si cibassero delle foglie. Il peso e la grandezza colossale delle loro parti posteriori, che non si possono immaginare se non si sono vedute, divengono, con quella ipotesi, di evidente benefizio, invece di essere un ingombro; il loro aspetto tozzo scompare. Colla loro grande coda ed i massicci calcagni piantati fortemente sul terreno come una tripode, potevano liberamente far uso di tutta la forza delle potentissime braccia e dei grandi artigli. Dovevano invero avere profonde radici quegli alberi che potevano resistere a quella forza!

Gli struzzi che struzzi non sono

Darò qui un ragguaglio dei costumi di alcuni dei più interessanti uccelli che sono comuni nelle pianure selvaggie della Patagonia settentrionale; parlerò pel primo del più grande, che è lo struzzo dell’America meridionale. I costumi ordinari dello struzzo sono familiari a tutti. Vivono di sostanze vegetali come radici ed erbe; ma a Bahía Blanca ne ho veduti parecchie volte tre o quattro insieme venire, durante la bassa marea, sulle stesse spiagge melmose che sono allora asciutte per cibarsi, secondo quello che dicono i Gauchos, di pesciolini. Quantunque lo struzzo sia solitamente sospettoso, cauto e solitario, e sebbene corra molto velocemente, tuttavia vien preso senza grande difficoltà dall’Indiano o dal Gaucho armato di bolas. Quando parecchi uomini a cavallo si dispongono in un semicerchio, lo struzzo si confonde e non sa più da che parte fuggire. In generale preferisce correre contro il vento; tuttavia alla prima fermata allarga le ali, e come una nave va a vele gonfie.

(…) Quando nuotano non si vede gran cosa del loro corpo sporgere fuori dell’acqua; il loro collo è disteso un tantino allo innanzi, e procedono lentamente. Vidi due volte alcuni struzzi attraversare nuotando il fiume Santa-Cruz, in un punto ove era largo 400 yarde (360 metri), e la sua corrente rapidissima.

(…) Gli abitanti del paese distinguono prontamente, anche da lontano, lo struzzo maschio dallo struzzo femmina. Il primo è più grosso ed ha i colori più oscuri, ed ha il capo più tozzo. Lo struzzo, credo il maschio, emette un suono singolare, profondo, sibilante; allorché lo udii per la prima volta, mentre io stava in mezzo ad alcune colline di sabbia, credetti che venisse da qualche bestia selvatica, perché è un suono che non si può dire da qual distanza né donde provenga. Quando eravamo a Bahía Blanca, nei mesi di settembre e di ottobre si trovavano in gran numero uova di struzzo sparse sopra tutto il paese. Sono deposte talora sparse e isolate, ed in tal caso non vengono mai chiuse, e sono chiamate dagli Spagnuoli Huachos; oppure sono raccolte insieme in una profonda buca che forma il nido. Dei quattro nidi che io visitai tre contenevano ventidue uova per uno, ed il quarto ventisette. In un giorno di caccia a cavallo vennero trovate sessantaquattro uova; quarantaquattro di queste erano in due nidi e le altre venti, sparse o huachos. I Gauchos affermano unanimemente, e non v’ha ragione per mettere in dubbio le loro parole, che il maschio solo fa schiudere le uova ed accudisce poi per un certo tempo anche i piccoli. Il maschio quando sta sul nido cova molto diligentemente; ne calpestai quasi uno col mio cavallo. Si asserisce che in tal caso diviene molto feroce, ed anche pericoloso, e si sa che taluni hanno aggredito un uomo a cavallo, cercando di colpirlo colle zampe e di saltargli addosso. Quegli che mi raccontava questo fatto mi mostrò un vecchio che aveva veduto tutto spaventato per essere stato inseguito da uno struzzo.

Altri struzzi più rari

Quando mi trovava a Rio Negro, nella Patagonia settentrionale, sentii i Gauchos parlare ripetutamente di un uccello rarissimo che chiamavano Avestruz petise. Lo descrivevano come più piccolo dello struzzo comune (che colà è abbondante), dicendo avere con esso intima rassomiglianza generale. Dicono che il suo piumaggio è più oscuro e macchiettato, che ha le gambe più corte e piumate più in giù che non quelle dello struzzo comune. Se ne fa caccia colle bolas con maggiore agevolezza delle altre specie. I pochi abitanti che hanno veduto le due specie, asseriscono che le potrebbero distinguere anche ad una grande distanza. Sembra, tuttavia, che le uova della specie piccola sieno più generalmente note; e fu osservato, con sorpresa, che erano ben poco più piccole che non quelle del Rhea, ma di una forma un po’ differente e d’una tinta di azzurro pallido. Questa specie s’incontra rarissimamente nelle pianure che costeggiano il Rio Negro; ma un grado e mezzo circa più al sud sono discretamente abbondanti. Quando il signor Martens si trovava a Porto Desiderio nella Patagonia (lat. 48°), uccise con una fucilata uno struzzo; ed io osservandolo dimenticai in quel momento nel modo più sconsiderato, tutta la storia del Petise, e credetti che fosse un uccello della specie comune non ancora adulto. Venne cucinato e mangiato prima che mi fosse ritornata la memoria. Fortunatamente il capo, il collo, le zampe, le ali, molte delle piume più grandi ed una gran parte della pelle erano state conservate; e da queste parti venne messo insieme un esemplare quasi perfetto, che si vede nel Museo della Società zoologica di Londra. Il signor Gould descrivendo questa nuova specie mi ha fatto l’onore di darle il mio nome.

Buenos Ayres

Settembre 8. – Presi a mio servizio un Gaucho per accompagnarmi nel mio viaggio a Buenos Ayres; ottenni questo con una certa difficoltà, perché il padre di quest’uomo aveva paura di lasciarlo andare, e un altro che sarebbe venuto volentieri mi fu descritto come così pauroso che temetti di prenderlo con me, perché mi dissero che anche quando vedeva uno struzzo in distanza lo scambiava con un indiano e fuggiva come il vento. Per giungere a Buenos-Ayres ci sono circa quattrocento miglia in mezzo ad un paese disabitato. Partimmo di buon’ora al mattino; essendo saliti poche centinaia di metri dal bacino di erba verde sul quale sta Bahía Blanca, entrammo in una vasta e desolata pianura. Essa si compone di una roccia sminuzzata argilloso-calcarea, la quale per la natura asciutta del clima non produce che pochi sparsi cespiti di erba avvizzita, senza che un arboscello od un albero rompano quella monotona uniformità. Il tempo era bello ma l’atmosfera era nebbiosa; io credeva che significasse l’avvicinarsi di un temporale, ma i Gauchos mi dissero che ciò derivava dal fatto che la pianura a qualche grande distanza nell’interno era incendiata.

Buenos Ayres 

Settembre 20. – Verso la metà del giorno giungemmo a Buenos-Ayres. Il contorno della città ha un aspetto molto bello, colle sue siepi di agave, i suoi boschetti di olivi, di peschi e di salici, i quali tutti estendevano al vento le loro verdi foglie.

(…)

La città di Buenos-Ayres è grande e credo che sia una delle più regolari del mondo. Ogni strada è ad angolo retto con quella che la incrocia, ed essendo le parallele equidistanti, le case sono riunite in saldi quadrati di eguali dimensioni che vengono detti quadras. D’altra parte le case stesse sono quadrati vuoti; mentre tutte le stanze si aprono in un bel cortiletto. In generale non hanno che un piano col tetto piatto munito di sedili molto frequentati dagli abitanti durante l’estate. Nel centro della città vi è la piazza, ove si trovano le pubbliche segreterie, la fortezza, la cattedrale, ecc. In questo luogo pure gli antichi vicerè avevano i loro palazzi. Il complesso generale dei fabbricati ha una notevole bellezza architettonica, sebbene individualmente nessuno ne abbia una propria.

Le señorita di Buenos Ayres

Finalmente il capitano mi disse, che aveva da farmi una domanda e che mi sarebbe stato molto grato se avessi voluto rispondergli con piena veracità. Tremai pensando quanto profondamente scientifica doveva essere questa domanda: ed era «Se le signore di Buenos-Ayres non erano le più belle del mondo». Io risposi come un rinnegato: «Precisamente così». Egli soggiunse «Io ho un’altra domanda, le signore in qualche altra parte del mondo portano pettini così alti?» Io con grande solennità gli assicurai di no. Questo fece loro un grandissimo piacere. Il capitano esclamò: «Vedete! un uomo che ha visitato mezzo mondo dice che questo è il caso; noi lo abbiamo sempre creduto, ma ora ne siamo certi». Il mio eccellente giudizio intorno a pettini ed alla bellezza, mi procurò il più ospitaliero ricevimento; il capitano mi obbligò a prendere il suo letto, ed egli dormì sul suo recado.

Passaggio sulle Ande

In questa parte del Chilì vi sono due passaggi attraverso le Ande per andare a Mendoza; l’uno più comune, è quello di Aconcagua o Uspallata, situato un po’ al nord; l’altro detto del Portillo, è al sud, più vicino, ma molto più alto e pericoloso.

Mendoza

Ad oriente di questa linea curva sta il bacino delle pianure comparativamente umide e verdi di Buenos Ayres. Le sterili pianure di Mendoza e della Patagonia son fatte di un giacimento di ghiaia, accumulato e lisciato dalle acque del mare, mentre i Pampas, coperti di cardoni, di cedrangola e di erba, sono state formate dall’antico estuario melmoso del Plata.

(…) la felicità degli abitanti di Mendoza è di mangiare, dormire, e stare in ozio.

Mendoza

Darò qui un brevissimo cenno della geologia delle varie linee parallele che formano le Cordigliere.

Di queste linee ve ne sono due notevolmente più alte che non le altre; cioè sul lato chiliano, la cima di Peuquenes, che, nel punto ove viene attraversata dalla strada, è alta 3963 metri al disopra del mare, e la cima del Portillo, sul lato di Mendoza, alta 4291 metri. I giacimenti più bassi della cima di Peuquenes, e di varie altre grandi linee all’ovest di essa, sono composte di un grande masso di porfidi, della spessezza di migliaia di metri, che sono venuti fuori come lave sottomarine, alternando con frammenti angolosi e arrotondati delle medesime roccie, spinte fuori dai crateri sottomarini. Questi massi alterni sono coperti nelle parti centrali da un grande e fitto giacimento di arenaria rossa, di conglomerato e di ardesia associati e passanti in mezzo a prodigiosi giacimenti di gesso.

In questi giacimenti superiori s’incontrano conchiglie piuttosto frequentemente; ed appartengono all’incirca al periodo della creta inferiore di Europa. È una vecchia storia, ma non meno perciò meravigliosa, sentire parlare di conchiglie che strisciavano un tempo sul fondo del mare, ed ora stanno a 4200 metri sopra il livello di esso. I giacimenti inferiori in questo grande mucchio di strati sono stati traslocati, cotti, cristallizzati e quasi tutti mescolati assieme, per opera di massi montani di una particolare roccia di soda bianca granitica.

L’altra linea principale, cioè quella del Portillo, è di una formazione al tutto differente; consiste soprattutto di grandi guglie nude di un rosso granito potassico, che al basso, lungo il versante occidentale, è coperto di una arenaria, mutata dal calore primitivo in roccia quarzosa. Sul quarzo, riposano giacimenti di un conglomerato della spessezza di migliaia di metri, che è stato sollevato dal granito rosso, e si dirige ad un angolo di 45° verso la linea del Peuquenes. Fui sorpreso di trovare che questo conglomerato era composto in parte di ciottoli, derivati dalle roccie, colle loro conchiglie fossili, della catena del Peuquenes; ed in parte da granito rosso potassico, simile a quello del Portillo. Quindi dobbiamo conchiudere, che le catene del Peuquenes e del Portillo furono entrambe parzialmente sollevate ed esposte alla erosione ed allo spezzamento, quando il conglomerato stava formandosi; (…) le conchiglie del Peuquenes o catena più antica, dimostrano, come ho osservato prima, che esso si è sollevato di 4200 metri dopo il periodo secondario, che in Europa siamo avvezzi a considerare siccome tutt’altro che antico; ma dacché quelle conchiglie vivevano in un mare moderatamente profondo, si può dimostrare che l’area ora occupata dalle Cordigliere deve essersi abbassata di molte centinaia di metri — nel Chilì settentrionale fino a 1800 metri — tanto da aver lasciato che la somma degli strati sottomarini si siano alzati sul letto sul quale vivevano le conchiglie.

(…) vi deve essere stato colà un abbassamento di qualche centinaio di metri, come pure un susseguente sollevamento. Il geologo deve ogni giorno piantarsi per forza nella mente, che nulla, neppure il vento che soffia, è tanto instabile come il livello della crosta di questa Terra.

 Sulle montagne

Un gran numero delle piante e degli animali erano assolutamente gli stessi o molto strettamente affini a quelli della Patagonia. Abbiamo qui l’Aguti, la Viscaccia, tre specie di Armadilli, lo Struzzo, certe specie di pernici ed altri uccelli, nessuno dei quali è mai stato veduto nel Chilì, ma sono animali caratteristici delle pianure deserte della Patagonia. Abbiamo pure molti degli stessi (per chi non è botanico) cespugli spinosi meschini, la stessa erba appassita, e le stesse piante nane. Anche i neri scarafaggi che strisciavano lentamente erano somigliantissimi, ed alcuni, credo, dopo un severo esame, assolutamente identici.

Da Mendoza verso Uspallata

Ci mettemmo in via per tornare al Chilì, pel passo di Uspallata collocato al nord di Mendoza. Dovemmo attraversare una lunga sterilissima traversìa di quindici leghe. In alcune parti il terreno era al tutto nudo, in altre era coperto da innumerevoli cactus nani, armati di terribili spine, e chiamate dagli abitanti leoncini. Vi erano pure alcuni pochi bassi cespugli. Quantunque la pianura sia quasi mille metri al di sopra del mare, il sole era caldissimo; ed il calore, come pure le nuvole di polvere impalpabile, rendevano il viaggiare sommamente molesto. Il nostro cammino durante il giorno era quasi parallelo alle Cordigliere, ma gradatamente ci accostavamo ad esse.

Alberi pietrificati

La geologia del contorno è curiosissima. La catena dell’Uspallata è separata dalle Cordigliere principali da una lunga e stretta pianura o bacino, simile a quelli tanto spesso menzionati nel Chilì, ma più alta, essendo a duemila metri sopra il mare. Questa catena ha quasi la stessa posizione geografica rispetto alle Cordigliere, della linea del gigantesco Portillo, ma è di una origine al tutto differente; è fatta di varie sorta di lava sottomarina, alternantesi con arenarie vulcaniche ed altri notevoli depositi di sedimento, e tutta la massa ha una strettissima somiglianza con alcuni dei giacimenti terziari delle spiaggie del Pacifico. Da questa somiglianza io mi aspettava di trovare legno silicizzato, generalmente caratteristico di quelle formazioni. Fui soddisfatto in modo straordinarissimo.

Nella parte centrale della catena, ad una elevazione di circa duemilacento metri, osservai sopra un nudo rialzo alcune colonne sporgenti bianche di neve. Erano quelle alberi pietrificati, undici erano silicizzati, e da trenta a quaranta convertiti in uno spato calcare bianco, grossolanamente cristallizzato. Erano rotti repentinamente ed i tronchi ritti sporgevano alcuni piedi sopra il terreno. I tronchi misuravano una circonferenza di novanta centimetri a un metro e cinquanta centimetri. Stavano un po’ discosti l’uno dall’altro, ma tutto l’insieme formava un gruppo. Il signor Roberto Brown ha avuto la bontà di esaminare il legno; egli dice che appartiene alla tribù degli abeti, e partecipa del carattere della famiglia Araucariana, ma con alcuni punti di affinità col tasso. La arenaria vulcanica, nella quale gli alberi erano incorporati, e dalla parte inferiore della quale essi debbono essere nati, si era accumulata in successivi strati sottili intorno ai loro tronchi, e la pietra conservava ancora l’impronta della corteccia.

Ci voleva un po’ di pratica geologica per interpretare la storia meravigliosa che questa scena svolgeva ad un tempo; tuttavia confesso che dapprima rimasi tanto attonito da non potere quasi credere alla più chiara evidenza. Io vedeva il luogo ove un gruppo di begli alberi facevano ondeggiare i loro rami sulle spiaggie dell’Atlantico, quando quell’Oceano (ora ritiratosi di settecento miglia) veniva fino ai piedi delle Ande. Io vedeva che erano venuti su da un suolo vulcanico, il quale erasi sollevato sul livello del mare, che in seguito questa terra asciutta, coi suoi ritti alberi, si era affondata nelle profondità dell’Oceano. In quelle profondità, la prima terra asciutta era stata ricoperta da strati sedimentari, e questi pure da enormi correnti di lava sottomarina, di cui ogni massa raggiungeva lo spessore di 300 metri; e questi diluvii di pietra fissa e di depositi acquei erano venuti alternativamente sparsi per cinque volte. L’Oceano che riceveva masse di tale spessezza, doveva essere stato sommamente profondo; ma le forze sotterranee nuovamente si misero in azione, ed io ora vedeva il letto di quell’oceano, formante una catena di monti alta più di duemila e cento metri. Né quelle forze contrarie sono state inerti, mentre sono sempre operose, consumando la superficie della Terra; grandi massi di strati sono stati divisi da molte larghe valli, e gli alberi, ora mutati in silice, vennero scoperti e sporgono dal terreno vulcanico conversi ora in roccie nel luogo dove anticamente verdi e rigogliosi sollevavano le loro altissime cime. Presentemente ogni cosa è senza vita e deserta; anche i licheni non possono aderire ai tronchi pietrosi degli antichi alberi. Per quanto grandi e appena comprensibili possano sembrare cosifatti mutamenti, essi sono tuttavia seguiti durante un periodo recente comparato alla storia delle Cordigliere; e la catena stessa delle Cordigliere è assolutamente moderna a petto di molti strati fossiliferi d’Europa e d’America.

 I gaucho

Durante la sera vennero molti Gauchos a bere liquori e fumare zigari; il loro aspetto è molto notevole; sono in generale alti e belli, ma alcuni hanno nel volto una espressione di orgoglio e di dissolutezza. Spesso portano baffi e lunghi capelli arricciati sulle spalle. Coi loro adornamenti di colori vivaci, cogli sproni suonanti alle calcagna, coi coltelli affilati come pugnali (e spesso adoperati come tali) alla cintura, sembrano uomini al tutto differenti da quello che si potrebbe aspettare dal loro nome di Gauchos, che significa «uomo del contado». Sono eccessivamente cerimoniosi, non bevono mai prima i loro liquori se prima non li avete assaggiati, ma, mentre vi fanno i loro più garbati inchini, paiono sempre in procinto, data l’occasione, di tagliarvi la gola.

Lazo e bola

Il lazo è fatto di una cordicella fortissima, ma sottile e bene intrecciata di cuoio crudo. Un capo è attaccato alla cinghia, che lega assieme gli arnesi complicati del recado, o sella adoperata nei Pampas; l’altro capo è terminato da un piccolo anello di ferro o di rame, col quale si può fare un laccio o nodo scorsoio. Il Gaucho, quando sta per adoperare il lazo, tiene un piccolo gomitolo nella mano che tiene la briglia, e nell’altra il nodo scorsoio, larghissimo, mentre ha il diametro di circa due metri e mezzo. Egli lo fa girare intorno al capo, e con un movimento della mano tiene aperto il nodo; poi, slanciandolo, lo fa cadere sopra il luogo che ha scelto. Quando il lazo non è adoperato, si tiene strettamente raggomitolato da un lato del recado. Le bolas o palle sono di due sorta; le più semplici che si adoperano principalmente per prendere gli struzzi, sono fatte di due sassi rotondi, coperti di cuoio, riuniti da una sottile cinghia intrecciata, lunga circa due metri e mezzo. L’altra sorta differisce per esservi tre palle riunite da cinghie ad un centro comune. Il Gaucho tiene la più piccola delle tre in mano, e fa girare le altre due intorno al suo capo; poi prendendo la mira, le slancia come una catena di palle aggirantesi nell’aria. Appena le palle hanno colpito un oggetto, che girandogli attorno, si avviticchiano fra loro, e si attaccano fortemente. La mole e il peso delle palle varia secondo lo scopo per cui sono fatte; quando sono di pietra, sebbene non più grosse di una mela, vengono slanciate con tanta forza che talora rompono la gamba anche ad un cavallo. Ho vedute palle fatte di legno e grosse come una rapa, onde prendere quegli animali senza far loro male. Talvolta le palle sono fatte di ferro, e queste possono essere slanciate a grandissima distanza. La difficoltà principale nell’adoperare sia il lazo come le bolas, si è di cavalcare tanto bene da poter, mentre si va di carriera e si gira di botto, farli girare con tanta sicurezza, da prendere la mira; a piedi chiunque imparerebbe presto quell’esercizio. Un giorno, mentre mi divertiva a galoppare e far girare le palle intorno al capo, per caso la palla che era libera colpì un ramoscello, e rimanendo così distrutta la sua azione girante, cadde immediatamente sul terreno, e come per incanto ravvolse la zampa posteriore del mio cavallo; l’altra palla mi venne allora strappata di mano, ed il cavallo saldamente legato. Per fortuna era un animale ben pratico, e sapeva di che si trattava, altrimenti si sarebbe probabilmente dimenato fino a farsi del male. I Gauchos scoppiavano dalle risa; asserivano di aver veduto ogni sorta di animale preso, ma non avevano mai visto un uomo imprigionarsi da sé.

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