600 chilometri e neanche un umano

Era scontato che saremmo partiti in ritardo. E infatti è così. L’idea era di partire verso le 8:30 e invece il bus con Luis e Sergio alla guida parte alle 9:22. Ci fermiamo per fare una fotocopia del documento di viaggio con i nostri nomi necessario per il viaggio. Attraversando la città la ammiriamo: ampi viali, molto verde, palazzi sontuosi. La Casa Rosada dove vive la presidente Cristina Kirchner, la Plaza de Mayo, il Cabildo. Pablo ci racconta qualcosa… ma è solo uno sguardo fugace. Le strade sono lunghissime, ordinate in riquadri perfetti. I numeri delle vie arrivano facilmente alle migliaia, ci sono strade che arrivano anche a decine di migliaia. In questo paese così grande (10 volte l’Italia) piace pensare in grande in tutto, anche nella numerazione delle vie. La numerazione comincia infatti da 100, non esistono numeri civici inferiori… e a ogni isolato scatta il centinaio successivo. Quindi avremo l’isolato con i numeri da 100 a 200, poi da 200 a 300 e così via. In questo modo la numerazione è anche una unità di misura della distanza. Se sono, per esempio, al numero 1256 di una certa via e devo andare al 3408, so che devo fare 22 isolati perché 34 – 12 = 22.

Ci piacerebbe rimanere più a lungo ma sarà per un’altra volta che sicuramente ci sarà. Kika – lei vive qui da 5 anni – mi dice che la città è bella, le piace molto. Ma non può andare in giro da sola. Nemmeno per andare a scuola. A Trieste invece i bambini possono già da abbastanza piccoli essere autonomi in molte attività. Altra differenza, continua Kika, è che a Trieste la notte finisce alle 2 o alle 3 (forse anche molto prima), mentre a Buenos Aires no, la notte non finisce mai. C’è sempre qualcuno sveglio. Una grande capitale. E si vede.

Prima di partire, Pablo e Alfred fanno un po’ di provviste per il viaggio: acqua, frutta panini e briosche dolci e salati. Hanno nomi incredibili. Bombe e simili… questo perché storicamente i panettieri erano tutti anarchici rivoluzionari e davano questi nomi ai prodotti dei loro forni.

Uscti dalla capitale entriamo nella zona delle lagune. Ampie distese di acque salmastre dove trova rifugio una ricca fauna, soprattutto uccelli. Negli ultimi trent’anni il livello dell’acqua è aumentato molto come conseguenza dei cambiamenti climatici. Lagune di 30-40 chilometri sono oggi di oltre 100 chilometri. La salinità è molto diminuita e ampi tratti di terra sono stati sommersi, cancellando addirittura dei centri abitati. Negli anni ottanta, la gente usciva di casa e trovava l’acqua sul marciapiede “Si ritirerà” diceva. E invece no, ogni giorno l’acqua era più alta e a un certo punto se se sono dovuti andare.

Poi l’autostrada si inoltra nella pampa. È la pampa umida. La distesa coltivata a girasoli (campi quasi infiniti di giallo sgargiante), grano e soia si alterna a campi dove pascolano grandi mandrie di mucche. Sono quasi tutte nere e si riparano sazie all’ombra degli eucalipto. Nel marroncino secco, macchie di verde scuro indicano dove si raccoglie l’acqua. Piccoli e medi rapaci si appostano lungo l’autostrada sperando in un facile pasto. Aironi appaiono tra le canne, specie di rondini con lunghe code doppie volano ondeggiando, qualche cane solitario si affretta verso qualche misteriosa meta.

La strada corre accando ai pali dell’alta tensione. Due grandi tralicci si poggiano a terra su un solo punto, tenuti in tensione sai cavi stessi…

Le ragazze con Amrit sono seduti in fondo all’autobus. Chiacchierano, ascoltano musica… Amrit a un certo punto si mette a suonare la chitarra. Il viaggio è lungo. Si possono fare tante cose. Pietro ha un’idea e la discute con Marco. La perfezionano e la scrivono sul computer per condividerla con gli altri al momento opportuno.

Arriviamo ad Azul. Ci fermiamo in una parilla per pranzo. Ci preparano due tavolate in una sala arieggiata da un grande ventilatore. Quanti gradi ci saranno? Più di 35 di sicuro. E la luce! Che luce e che cielo…

Dopo pranzo, Marco ci ritrae tutti sotto forma di dinosauri, a ognuno il suo colore e il suo carattere, ma tutti erbivori.

Seicento chilometri di pianura senza nemmeno un umano. Poche case in lontanza intraviste in mezzo a gruppi di alberi, come se si rifugiassero alla vista (più probabilmente al caldo che noi sentiamo anche dentro il pullmino malgrado l’aria condizionata).

Alla fine, quando ormai non ci si credeva più – la strada sembrava infatti continuare fino all’infinito – arriviamo. Punta Alta si presenta bassa… file di casette basse, molte insegne e gente per strada. Oggi la temperatura è salita a 42°. Ma è un caldo secco, per fortuna.

Davanti all’albergo ci aspetta Teresa Manero, paleontologa, che ci accompagnerà nelle esplorazioni dei prossimi due giorni.

4 thoughts on “600 chilometri e neanche un umano

  1. Che bello leggere la descrizione del vostro viaggio di ieri, sembra quasi di percepire il caldo!! Quì in Trentino, oggi ha nevicato in montagna e abbiamo avuto la fortuna di camminare sotto una bella nevicata (per Marco: sullo Stivo!). Finalmente!!

    • qui “nevica” cenere di vulcano! A qualche centinaio di chilometri piu ad ovest di dove siamo, sulla cordigliera andina, un vulcano è in eruzione da mesi e una polvere fine è sospesa nell’aria.
      La luce è fortissima e siamo di fronte ad un grande lago che si apre nel deserto.

  2. no salgo de mi asombro y la tranquilidad de que mañana también sabré como están y lo mucho que se divierten ¡¡¡¡¡
    besos a todos …yo los acompaño desde acá

I commenti sono disabilitati